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Volti e voci di giustizia il Muro della legalità a Palermo (tredicesima puntata)

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Gli Angeli di Via D’Amelio, la scorta di Paolo

 

Quello di via Aragonesi è un muro che parla. No, non è che proprio parla, ma dice. Dice cose forti. Dice con i colori, con le immagini. È il Murales della legalità, e sopra, proprio sopra, c’è lui: il giudice Paolo Borsellino. Eh sì, con quella faccia che pare un vulcano spento, ma dentro è tutto fuoco. E accanto a lui, sapete chi ci sono? Gli angeli della sua scorta.

Sì, angeli. Perché, insomma, se non erano angeli loro, ditemi voi chi può esserlo. E tra quegli angeli, ragazzi, c’è Emanuela Loi. Emanuela, con quel sorriso che pare una finestra aperta in primavera. Il graffitista, Vincenzo Roberto Gatto, ha fatto proprio un bel lavoro, sapete? Perché quel sorriso lo fa rivivere, ed è come se lei fosse ancora qui. Ma non c’è solo lei, no. Ci sono pure gli altri: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. Loro, quel 19 luglio del 1992, sono volati in cielo lasciando a terra un mare di rottami. Rottami falsi, perché quello che davvero si è rotto quel giorno non si vede: il cuore di una città.

Ah, quella domenica. Una giornata tranquilla, sembrava. Sembrava. Poi, una botta. Un boato che ha fatto tremare tutta Palermo. E subito, tra le strade, non si parlava d’altro: “Hanno ammazzato Paolo Borsellino.” Solo lui. E gli altri? Gli altri manco un nome, manco una parola. Ma io, invece, i loro nomi ve li dico, perché ve li dovete ricordare.

Agostino Catalano

Era il capo scorta, sapete? Un uomo buono, di quelli che quando c’è da aiutare qualcuno non si tirano mai indietro. Aveva 43 anni e, pensate, quel giorno era in ferie. FERIE! Ma no, per una maledetta coincidenza è andato lo stesso, ché c’era bisogno di uno in più per fare il numero. E sapete che aveva fatto qualche settimana prima? Aveva salvato un bambino che stava per annegare a Mondello. Un eroe, altro che storie.

Walter Eddie Cosina

Lui, invece, veniva dall’altra parte del mondo. Nato in Australia, di famiglia triestina. Era uno preciso, serio. Entrato nella DIA da poco, e quel giorno sapete cosa aveva fatto? Aveva lasciato riposare un collega, uno che doveva dargli il cambio. Un gesto piccolo, ma a pensarci bene, immenso. Un uomo così, vi dico, ce lo dobbiamo ricordare.

Claudio Traina

Claudio era di Palermo, un figlio della città. Giovane, aveva appena 27 anni. Voleva fare la differenza, sapete? Per questo era entrato in polizia. E il destino, ragazzi, ha voluto che il suo nome si legasse per sempre a questa storia. Suo fratello Luciano, tra l’altro, fu tra quelli che catturarono Brusca. Una famiglia di lottatori.

Vincenzo Li Muli

Poi c’è Vincenzo. Appena 22 anni. Capite? Solo 22. Era il più giovane di tutti. Uno che da bambino sognava di entrare in polizia. Ce l’ha fatta, ma a che prezzo. Si era appena trasferito a Palermo. E nonostante sapesse i rischi, sapesse tutto, aveva scelto di stare accanto a Borsellino. Questo vuol dire avere coraggio.

Emanuela Loi

E infine, c’è lei, la prima donna poliziotto a morire in una strage di mafia. Una pioniera. Entrata in polizia nel 1989, trasferita a Palermo due anni dopo, e da pochissimo assegnata alla scorta di Paolo. Una scelta dura, ma lei non si è mai tirata indietro. E quel sorriso suo, ragazzi, lo trovate ovunque. Nei murales, nei ricordi, nei racconti.

E sapete cosa diceva Agnese Borsellino, la moglie di Paolo? Diceva che questi ragazzi e ragazze erano più che colleghi: erano famiglia. Facevano parte della loro vita, delle loro ansie, dei loro sogni. E allora, amici miei, ricordiamoceli, ché il sacrificio di chi ha dato tutto per la giustizia non si merita il silenzio.

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