Sul frontone della facciata del teatro Massimo di Palermo, si può leggere il motto “L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”
l’epigrafe incisa sull’architrave del portico d’ingresso, di alto valore etico e rappresentante l’impegno formativo che l’Arte dovrebbe avere: “L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire.”
Con questa epigrafe anonima, viene introdotto l’intrinseco fine ideale dell’arte, un fine propedeutico all’uomo di oggi e domani, un fine preparatorio alla civiltà. l’Arte (quella con la A maiuscola) ha il dovere di stimolare i popoli ad ambire a migliorarsi. Una continua ricerca di superare se stessi per preparare un domani più giusto e armonioso.
Qualsiasi espressione artistica è figlia della civiltà che la plasma e degli ideali che la pervadono e la animano come una scintilla, dunque strettamente correlata alle vicissitudini umane ed al bisogno dell’uomo in un determinato frangente storico e sociale, deve servire a preparare l’uomo ad un futuro migliore
Assistere ad una rappresentazione teatrale non deve rimanere solo un momento di svago e distrazione ma deve farci riflettere per non ripetere gli errori di chi ci ha preceduto.
L’ autore della frase in questione, ad oggi rimane anonimo. Negli anni settanta lo storico palermitano Rosario La Duca attribuì la frase a Francesco Paolo Perez (letterato, sindaco di Palermo dal 1876 al 1878, senatore del Regno d’ Italia, ministro, nato a Palermo nel 1812 e morto nel 1897) le “prove” a sostegno della tesi che sia stato lui a dettare quelle parole, sono stampate in un opuscolo, custodito nella biblioteca dei Cappuccini di Palermo, il cui autore è tal Gaspare Caminneci.