Percorrendo il quadrilatero di Sant’Eligio, nel cuore del quartiere storico degli argentieri palermitani, il passante che si dirige dal mare verso la monumentale Piazza San Domenico non può fare a meno di notare una struttura distintiva. Su via Giovanni Meli, un tempo conosciuta come Salita San Domenico, si staglia la suggestiva loggia di vetro che occupa gran parte della facciata di un elegante palazzo.
Agli inizi del Novecento, questa loggia ospitava gli studi fotografici di Enrico Seffer, il capostipite di una famiglia che avrebbe segnato la storia del ritratto fotografico a Palermo.
Gli Esordi di Enrico Seffer
A cavallo tra il XIX e il XX secolo, mentre i fotografi locali più affermati – come gli Interguglielmi e gli Ircorpora – dominavano la scena, Enrico Seffer si fece largo nel panorama cittadino. I suoi primi passi coincisero con la crescente diffusione del ritratto fotografico, una moda che conquistava i ceti medi emergenti. Enrico intuì il potenziale di questa nuova domanda e vi si dedicò con abilità e intuito imprenditoriale.
Ben presto, i suoi studi divennero il luogo prediletto per la borghesia palermitana in cerca di uno scatto che celebrasse il proprio status. Ogni ritratto era un’opera pensata per elevare socialmente i soggetti: bambini sorridenti, sposi in pose solenni, religiosi dall’aria austera, e donne che imitavano l’espressività delle attrici teatrali. L’arte del ritratto, fino ad allora privilegio dell’aristocrazia, divenne un fenomeno di massa, trasformandosi in una forma di autocelebrazione e ascesa sociale.
La Loggia: Teatro della Memoria Visiva
Il successo della loggia di vetro di via Giovanni Meli si fondava su una combinazione di teatralità e fotogenia. Gli ambienti venivano arricchiti con trompe-l’œil e scenografie artistiche, capaci di conferire un’aura accademica a ogni posa. I Seffer suggerivano espressioni drammatiche e posture ricercate, creando ritratti che andavano ben oltre il semplice documento visivo.
Per la borghesia, il ritratto non era solo un’immagine: era una vera e propria elevazione simbolica. Volti femminili acquisivano la malinconia di un romanzo d’appendice, mentre i religiosi si trasformavano in icone di pietà. La loggia fotografica divenne così una sorta di “memoria ottica collettiva”, capace di catturare l’anima di un’intera epoca.
Le Radici e l’Evoluzione della Famiglia Seffer
Enrico Seffer non iniziò però la sua carriera nella famosa loggia. Prima di stabilirsi in Salita San Domenico, aveva gestito due studi: uno presso Palazzo Conte Capaci, in corso Vittorio Emanuele, e un altro chiamato “Fotografia Italiana” a vicolo Marotta, nello stesso quartiere. Fu l’invito del fotografo D’Alessandro a condividere lo studio in Salita San Domenico che portò Enrico nella loggia di vetro. Dopo la fine della collaborazione, Seffer rilevò completamente l’attività, trasformandola in “E. Seffer & Figli, premiato stabilimento fotografico”.
Dei tre figli di Enrico – Pietro, Michele e Achille – fu il primogenito Pietro (1873-1947) a mantenere viva l’eredità paterna. Professore di matematica e fisica, Pietro dedicò gran parte della sua vita alla fotografia, fino alla propria morte. Michele, invece, intraprese una strada autonoma, aprendo il proprio studio, “Argo Foto”, in via Libertà. Achille, il più giovane, rimase ai margini della storia familiare.
Declino e Fine di un’Era
Con l’avvento di nuove tecnologie e cambiamenti culturali, il tradizionalismo dei Seffer si rivelò un’arma a doppio taglio. Domenico, detto Mimì, figlio di Pietro, continuò a gestire la loggia con il supporto dei fedeli ritoccatori Pappagalli e Vella. Tuttavia, l’ostinata fedeltà ai metodi tradizionali li relegò ai margini del mercato fotografico, sempre più dominato da innovazioni tecnologiche e stili moderni.
La loggia chiuse definitivamente il 6 agosto 1970, giorno della morte di Mimì, stroncato da un infarto nella camera oscura. Con lui si spense una tradizione familiare che aveva saputo raccontare, con eleganza e maestria, un’epoca di transizione e trasformazione sociale.
Grazie a un articolo di Dario Lo Dico pubblicato sulla rivista Kalòs nel 2006 – anno XVIII n. 3 , abbiamo appreso alcune notizie qui sotto riportate sulla loggia di via Giovanni Meli
L’atto di compra vendita trascritto dal Notaio Gioacchino Petta è datato 18 luglio 1908, con la postilla riguardante la descrizione del loggiato e delle prescrizioni urbanistiche per eseguire i lavori di ammodernamento dell’appartamento, soprattutto si hanno notizie riguardanti l’utilizzo del sistema “ferro-vitreous art”.
I lavori di ammodernamento vennero diretti dall’Ingegnere Ernesto Armò che firmò la conclusione dei lavori il 20 gennaio 1910.
Foto: Loggia Seffer studio fotografico di via Giovanni Meli.