In diversi angoli della Sicilia, soprattutto nei suoi giardini pubblici e privati, è possibile imbattersi in opere scultoree che non passano inosservate: forme essenziali, a volte totemiche, che sembrano emergere dal terreno come presenze silenziose e millenarie. Molte di queste opere sono firmate dallo scultore palermitano Vittorio Gentile, figura di spicco dell’arte contemporanea siciliana, nato a Palermo nel 1939.
Gentile ha attraversato le stagioni dell’arte del secondo Novecento con uno stile personale e inconfondibile, evolvendosi senza mai perdere il legame profondo con le sue radici mediterranee. Le sue sculture si distinguono per una sorprendente varietà espressiva, tanto nell’uso delle tecniche quanto nella scelta dei materiali. L’artista sperimenta e fonde elementi eterogenei, alternando il marmo bianco di Carrara, il marmo nero del Belgio, e materiali fortemente identitari come la pietra d’Avola, la pietra di Favignana, e l’onice di Sicilia, dando vita a un linguaggio scultoreo che si fa ponte tra la classicità e una visione arcaica, quasi rituale della forma.
Il fulcro della sua poetica artistica si concentra nei cosiddetti “totem”, opere verticali e astratte che evocano archetipi universali. La critica ha più volte sottolineato le affinità formali con maestri come Hans Arp, Constantin Brancusi e Henry Moore, ma è il primitivismo mediterraneo a rendere unica l’opera di Gentile: un senso del sacro, del tempo sospeso, della terra e della memoria che affiora in ogni scolpitura.
Negli anni Ottanta, in un momento di particolare fecondità creativa, Gentile elabora un ciclo di opere raccolte sotto il titolo “Ipotesi di forma”. Non si tratta di semplici esercizi di stile, ma di riflessioni profonde sulla genesi della forma stessa, sul suo valore simbolico e sulla sua funzione evocativa. Le “Ipotesi di forma” sono oggetti plastici che sembrano interrogare lo spazio, dilatarlo, talvolta sfidarlo, come se cercassero una risposta nell’equilibrio tra pieni e vuoti, tra materia e assenza.
Una delle sculture appartenenti a questo ciclo si trova davanti all’edificio di via Libertà 181, a Palermo, dove si staglia come una presenza armoniosa ma potente nel contesto urbano. L’opera si integra perfettamente con il paesaggio architettonico circostante, offrendo ai passanti non solo un oggetto estetico, ma un’esperienza visiva e sensoriale, un invito alla contemplazione. Non è raro vedere persone fermarsi, osservarla da diverse angolazioni, cogliere i giochi di luce e ombra che ne modificano la percezione nell’arco della giornata.
“Ipotesi di forma” non è solo un titolo: è un manifesto silenzioso dell’arte di Gentile, del suo tentativo di dare corpo all’informe, di trovare ordine nel caos, e soprattutto di raccontare — attraverso la scultura — la storia di una terra, la Sicilia, che è crocevia di culture, linguaggi e sensibilità.
In questo senso, l’opera si carica di un valore simbolico ancora più ampio: diventa un segno di resistenza culturale, di identità, di appartenenza, e al tempo stesso una finestra aperta verso l’universale. È l’ipotesi, appunto, di una forma che non si chiude in se stessa, ma si apre al dialogo con il mondo.