Chi ha una certa familiarità con il ricco linguaggio siciliano, o magari è un appassionato lettore dei celeberrimi libri di Camilleri, avrà sicuramente incrociato almeno una volta l’espressione: “Nun ci rùmpiri i cabassìsi”. Un detto che, se tradotto in italiano, suona più neutro con “non rompere le scatole”, ma è facile intuire che nel dialetto della Sicilia, esprimere la stessa idea con un semplice “non rompermi le scatole” non avrebbe lo stesso taglio incisivo.
Per rendere il concetto ancor più persuasivo, i siciliani, quando vogliono comunicare chiaramente che non desiderano essere disturbati, preferiscono scagliare un deciso “Un ci rumpiri i cabbasisi”. Un’espressione che, sebbene possa sembrare colorita, ha un significato profondo e radicato nella cultura popolare dell’isola.
Per comprendere appieno il significato di “cabbasisi”, dobbiamo fare un salto nella storia linguistica dell’isola. La parola stessa ha origini arabe, derivando da “habb-acca” e “azziz-rinomata”. Gli arabi, ancora oggi, utilizzano questa combinazione per riferirsi ai frutti del Cyperus Esculentus, una pianta originaria del continente africano. Questa pianta produce piccoli frutti ovali ricoperti da una peluria, e l’analogia con i testicoli umani è palese.
Ecco quindi spiegato il motivo per cui i palermitani e i siciliani in generale impiegano spesso il termine “Cabbasisi” per indicare in modo colorito e autentico i propri “cabbasisi” personali. Un modo pittoresco, radicato nella storia e nella cultura dell’isola, di dire in maniera inequivocabile: “Non rompere, per favore”.
Foto: I cabbasisi.