In ambito criminale, il termine “pizzo” si riferisce a una forma di estorsione in cui un gruppo o un individuo malavitoso richiede pagamenti periodici minacciando persone o aziende.
La mattina del 29 giugno 2004, la città di Palermo si svegliò tappezzata da adesivi con la scritta sinistra e allarmante: “UN INTERO POPOLO CHE PAGA IL PIZZO È UN POPOLO SENZA DIGNITÀ”. Inizialmente si pensò al gesto di un mitomane o addirittura a un messaggio subdolo della mafia. Grazie all’immediato interesse della Procura, del Prefetto e delle forze dell’ordine, il mistero fu svelato.
Un comitato composto da sette giovani aveva deciso di dare forza e coraggio ai commercianti vittime del racket del “pizzo” per ribellarsi. In quei giorni a Palermo, i sette giovani fondarono il comitato “ADDIOPIZZO”.
Il Comitato Addiopizzo è un movimento antimafia italiano nato e sviluppatosi in Sicilia, impegnato principalmente nella lotta al racket delle estorsioni mafiose, il cosiddetto “pizzo”. Per Palermo, Addiopizzo ha rappresentato il risveglio da una lunga acquiescenza al racket delle estorsioni.
La parola “pizzo” potrebbe derivare da alcune parole siciliane, una delle quali potrebbe essere la forma accorciata di “capizzu”, ossia “capezzale”, passato a indicare il luogo dove si colloca il letto, un luogo di tranquillità e sicurezza.
La parola “pizzo” potrebbe avere origini nel 1700, quando i briganti tendevano agguati ai mercanti che attraversavano zone desolate con i carretti. I briganti intimavano ai mercanti il pagamento del pizzo, consistente in una parte della merce trasportata. Il pizzo era un robusto listello posto sotto il cassone a protezione della parte più fragile del mezzo. Solitamente, il pizzo era impreziosito da intarsi di figure sacre a protezione dei viaggi. Senza la protezione del pizzo, il carro poteva spezzarsi. Pertanto, i briganti minacciavano la sua rottura e la conseguente perdita del carro con tutta la merce, costringendo il mercante a evitare la rottura del pizzo pagando o lasciando una parte della merce ai briganti.