Puntata ventiquattresima. La mia vacanza palermitana con il mare negli occhi
Accanto al nautoscopio, abbiamo visto famiglie con bambini festosi giocare in un parco a ridosso del mare. Ruggero ci ha spiegato che si tratta del Parco della Salute “Livia Morello”. Il parco offre spazi per il gioco e per lo sport, con un campo polivalente e un percorso dedicato all’educazione ambientale chiamato “Il giardino delle alofite mediterranee.” Questo giardino botanico unico nel suo genere ricrea una macchia mediterranea, offrendo un’esperienza immersiva nella flora locale.
Il parco ospita anche iniziative sociali, sportelli di primo ascolto gratuiti e consulti e screening con esperti. Il Parco della Salute “Livia Morello,” situato a Palermo, è il primo parco inclusivo del sud Italia. Nasce come progetto di utilità sociale promosso dall’associazione Vivi Sano Onlus ed è dedicato a Livia Morello, una giovane palermitana scomparsa a soli diciotto anni a causa di una rara cardiopatia. Il padre, il giornalista Angelo Morello, ha scelto di trasformare il dolore in solidarietà, fondando una onlus con il nome della figlia. Ci troviamo alla Cala, un’insenatura naturale a forma di U che, fino al Cinquecento, serviva come porto di attracco della città. Attualmente, è utilizzata in parte come porto turistico, popolato di barche a vela, e in parte come porto per i pescatori, con numerose barche da pesca.
Percorriamo una zona pedonale che costeggia tutto il porto e lambisce il mercato ittico. il nostro cicerone ci rivela che questo luogo è legato alla storia della sua famiglia. “Sono figlio di un pescivendolo,” ci dice Ruggero. “Mio padre, anche se riusciva a ritagliare un po’ di tempo per noi, spesso andava a letto prima di noi, dicendo ‘buonanotte mi curcu, picchi rumani ma susiri priestu, picchi a ghiri a piscaria.’ A piscaria era il mercato ittico dove mio padre all’asta o all’incanto comprava il pesce per poi rivenderlo al minuto al mercato del Capo.” I palermitani hanno un rapporto viscerale con il mare e con il pesce in particolare.
Sin dal Trecento, il pesce veniva venduto in prossimità della zona del molo di Sant’Erasmo alla cala. L’acquisto era permesso soltanto ai rivenditori, che acquistavano il pesce tramite asta dai pescatori. La Piscaria, dove si svolgeva anticamente la vendita del pesce all’ingrosso, si trovava un tempo nei pressi della Porta della Piscaria (o Pescheria). Questa porta, tra le cinque esistenti nel XVII secolo nel vecchio porto, non ebbe molta fortuna secondo gli storici dell’epoca. Della porta oggi non più esistente, Ruggero ci racconta la breve storia basandosi sul disegno pubblicato nel 1732 da Antonio Mongitore nel libro sulle Porte della città di Palermo.
La Porta della Piscaria, eretta nel 1596 per sostituire una precedente, si trovava oltre la Porta delle Dogane, accanto alla Chiesa della Catena, nelle adiacenze posteriori dell’antico Palazzo delle Finanze, noto come la Vicaria, un imponente carcere cittadino. Basandosi sui racconti del Professore La Duca, Ruggero condivide un capitolo affascinante della storia locale riguardante il commercio del pesce. Nel Trecento, il mercato del pesce si svolgeva lungo la costa marittima tra l’attuale Foro Italico e il Piano di Sant’Erasmo.
Nel Cinquecento, con l’ampliamento dei mercati, il pescato era disponibile anche nella Kalsa, ma soprattutto nel vecchio porto della Cala, vicino alla Porta della Piscaria, dove si teneva il mercato all’ingrosso. Un ruolo fondamentale nella vendita all’ingrosso del pesce era svolto dai rigattieri, intermediari tra pescatori e venditori, il cui operato era soggetto a varie restrizioni nel corso dei secoli. Era sempre vietato acquistare pesce direttamente dalle imbarcazioni, soprattutto per cuochi di ristoranti o famiglie private. L’ubicazione dei mercati cambiò nel corso dei secoli, ma sempre nelle vicinanze della costa. La “piscaria” si spostò dal Piano di Sant’Erasmo fuori dalla Porta della Dogana, da Porta dei Greci a quella della Piscaria e poi a Piedigrotta, dal borgo di Santa Lucia fino all’attuale Mercato Ittico, costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale accanto alla chiesa ormai scomparsa della Madonna di Piedigrotta, i cui resti sono ancora visibili sotto l’edificio del mercato del pesce.
Ruggero ricorda di aver visto i resti della chiesa negli anni Novanta del secolo scorso, durante la costruzione di una bascula per pesare i carichi di pesce dai camion. Il nostro amico ci racconta che il pesce venduto nel mercato ittico arriva dalle marine dell’Isola su mezzi gommati, mentre il locale arriva dalle barche che attraccano alla Cala. Tra i pescatori locali, lui ricorda i Dorilla e ci racconta qualcosa sulle origini di questa famiglia di pescatori. Pino Giuliano, noto nel mondo ittico come “u zu Pinuzzu Dorilla”, fu il capostipite di una storica famiglia di pescatori, la più antica tra quelle ancora in attività a Palermo. Ricerche condotte dal figlio Salvatore negli archivi della chiesa Santa Maria della Pietà alla Kalsa hanno rivelato che già nel XVII secolo la famiglia Giuliano era impegnata nella pesca. Pinuzzu Dorilla era un vero e proprio mito nel settore ittico: ogni pescheria di Palermo lo conosceva bene. Considerato l’ultimo vecchio lupo di mare della città, Pinuzzu Dorilla ha ufficialmente passato il timone del peschereccio di famiglia, Seconda Stella Maris, al figlio Nino qualche anno fa.
Tuttavia, non ha mai veramente abbandonato il mare che amava così profondamente. Il litorale palermitano è punteggiato ogni dieci metri da nomi antichi, e Pinuzzu Dorilla era uno dei pochi ancora in grado di ricordare anche i nomi delle località oggi scomparse, come “porto pidocchio”. La sua conoscenza e la sua esperienza rappresentavano un patrimonio culturale prezioso, e la sua figura rimane un simbolo del legame profondo tra Palermo e il mare che l’ha sostenuta per secoli. I rigattieri e i commercianti dei mercati storici palermitani, fino a una decina di anni fa, usavano un linguaggio particolare per comunicare tra di loro, un modo per non fare arrivare il messaggio agli estranei, o meglio a coloro che non facevano parte della loro categoria. Tra i modi di dire di uso comune e frequente c’erano le parole che celavano e sostituivano i numeri:
1 = STINNARDU (stendardo)
2 = CAURRU
3 = CRUCIFERU (croci)
4 = L’AQUILA
5 = A MANU
6 = A RASTA (pianta)
7 = U CRUOCCU (il gancio)
8 = A MARUONNA (la Madonna)
9 = A NUVIENA (la novella)
0 = I RUI MANU (le due mani).