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Volti e voci di giustizia il Muro della legalità a Palermo (undicesima puntata)

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Eroi nel Silenzio: Antonio, Rocco e Vito

 

Sul ‘Muro della Legalità’, proprio accanto ai volti di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, ci sono anche loro: gli uomini della ‘Quarto Savona Quindici’. Sì, avete capito bene, così si chiamava quella macchina, la Croma blindata, distrutta il 23 maggio 1992, nella strage di Capaci.

Quella non è una macchina normale, no. Era il baluardo, la protezione di un uomo che lottava contro il male vero. Quella sigla, QS15, era il loro codice radio. Ma adesso è il simbolo di chi ha dato tutto, anche la vita, per un ideale.

Nell’attentato, insieme a Giovanni Falcone e alla sua Francesca, se ne andarono tre uomini della scorta. Tre angeli della sicurezza che viaggiavano sulla prima macchina, quella che ha preso in pieno l’esplosione ed è stata sbalzata a più di dieci metri, finendo tra gli ulivi. Non c’è stato nulla da fare.

C’era Antonio Montinaro, il capo scorta. Solo 29 anni, pensate. Stava davanti, sul sedile del passeggero. Antonio aveva una moglie, Tina, e due figli piccoli. Ora, a Calimera, c’è una piazza che porta il suo nome. E sapete che hanno fatto? Hanno preso un masso dal luogo dell’attentato e ci hanno piantato accanto un albero di mandarino di Sicilia. È un segno, un modo per dire che dal dolore deve nascere nuova vita.

Poi, sul sedile dietro, c’era Rocco Dicillo. Trenta anni, un agente scelto, un uomo del reparto Scorte e Tutela. Anche a lui il suo paese, Triggiano, ha voluto bene: gli hanno dedicato una via e un centro culturale.

E infine Vito Schifani, appena 27 anni. Ventisette anni! Era papà di un bimbo di soli quattro mesi. Sua moglie, Rosaria Costa, aveva 22 anni quando lo ha perso. Ma sapete cosa ha fatto Rosaria ai funerali? Con la voce spezzata dal dolore, si è rivolta agli uomini della mafia e ha detto: “Io vi perdono, ma vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare. Ma loro non cambiano.” Parole che fanno tremare.

La ‘Quarto Savona Quindici’ oggi è altro. Quelle lamiere accartocciate sono un monumento, un simbolo che viaggia per tutta l’Italia. Ogni anno, incontrano studenti, cittadini, chiunque abbia voglia di ascoltare e capire. Quando non è in viaggio, quel che resta della macchina è custodito nella caserma ‘Lungaro’ di Palermo.

Ecco, amici, quella macchina è un cumulo di lamiere, ma racconta storie di coraggio e di sacrificio. Racconta di chi ha scelto di servire lo Stato, di mettere la propria vita tra noi e il male. Pensateci, ogni volta che sentite parlare di legalità. Non è una parola vuota. È fatta di persone. È fatta di eroi, come Antonio, Rocco, Vito, Giovanni e Francesca.

Non dimenticate mai. Perché noi siamo il ricordo che portiamo avanti.

 

 

 

 

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