Fuochi d’artificio e colpi di pistola: L’ultima notte del Capitano Basile
L’opera d’arte straordinaria, lunga 70 metri, realizzata da 18 artisti in piazza degli Aragonesi, accanto alla caserma Carini racconta eventi che hanno seminato lutti e tristezza tra i palermitani onesti. Questo capolavoro, donato alla città dall’associazione Calapanama, raffigura 28 volti di uomini e donne che hanno sacrificato la loro vita nella lotta contro Cosa nostra. Tra questi ci sono anche personaggi della cultura come Andrea Camilleri, Leonardo Sciascia e Letizia Battaglia.
Tra i tanti c’è un volto in particolare che racconta una storia che ci tocca profondamente: quello del capitano Emanuele Basile. Nato a Taranto il 2 luglio 1949, la sua vicenda si lega indissolubilmente a Monreale, quel paesino normanno vicino a Palermo, famoso per la sua bellezza e le sue tradizioni. Ogni anno, a maggio, Monreale si accende con le luminarie e i festeggiamenti per il Santissimo Crocifisso. La festa, con le sue stradine illuminate, le processioni, i ceri accesi e i petali di rosa, culmina a mezzanotte, quando il cielo si colora di fuochi d’artificio.
Era proprio durante questi festeggiamenti, la notte tra il 3 e il 4 maggio 1980, che Emanuele Basile, con sua moglie Silvana e la loro piccola figlia Barbara di appena quattro anni, si trovava tra la folla a godersi lo spettacolo pirotecnico. Barbara era tra le sue braccia, quasi addormentata. Ma alle due di notte, mentre il cielo si riempiva ancora di luci, il buio calò sulla loro vita. Un killer di mafia gli sparò alle spalle. Il capitano cadde a terra, assassinato, sotto gli occhi della sua famiglia. L’assassino fuggì in macchina, dove lo aspettavano i suoi complici.
Ma chi era Emanuele Basile? Non un uomo qualunque. Era uno dei più fidati collaboratori del giudice Paolo Borsellino. Grazie alla sua dedizione e al suo incredibile intuito investigativo, aveva contribuito a svelare retroscena importanti sulla mafia, identificando gli esecutori e i mandanti dell’omicidio del capo della polizia Boris Giuliano. Basile aveva inoltre scoperto le attività del clan dei Corleonesi, allora in ascesa, e il traffico di droga gestito dalla famiglia di Altofonte.
Le sue indagini lo portarono a colpire duramente le cosche: il 6 febbraio 1980 arrestò figure di spicco come Antonio Salamone e Bernardo Brusca, e denunciò sodali del calibro di Leoluca Bagarella, Antonino Gioè, Antonino Marchese e Francesco Di Carlo. Fu tra i primi a intuire che dietro tutto questo si nascondeva Salvatore Riina, il capo dei Corleonesi.
La mafia, però, non perdona chi la combatte. Il delitto di Basile fu un “promemoria” del suo potere e un premio per l’esecutore, che fu elevato al grado di “capo decina”. Furono Armando Bonanno, Giuseppe Madonia e Vincenzo Puccio a compiere l’omicidio. Ma il destino non risparmiò neanche loro: Bonanno scomparve con il metodo della “lupara bianca”, e Puccio fu ucciso nel 1989.
La giustizia, pur tra mille ostacoli, arrivò. Dopo un processo travagliato, durato dodici anni, i quattro esecutori e i mandanti furono condannati all’ergastolo. Ma anche questa vittoria costò un prezzo altissimo: il magistrato Antonino Saetta, che confermò la sentenza in Cassazione, fu ucciso insieme a suo figlio Stefano, in un altro vile agguato mafioso.
Nel 2022, però, un’opera ha restituito luce a questa storia. L’artista Nicolò Giuliano ha creato una ceramica coloratissima in onore di Emanuele Basile. Il verde di Lampedusa, usato nell’opera, simboleggia la speranza che il sacrificio di uomini come lui non sia stato vano. Al tramonto, con i colori caldi del rosso e del giallo, l’opera invia un messaggio potente alle nuove generazioni: la giustizia vale ogni sacrificio, e la lotta contro il male deve continuare.