In via Pipitone Federico l’ultima alba del giudice Chinnici
Sul muro della legalità in via Aragonesi, di fronte alla caserma dei carabinieri, si staglia l’immagine di un uomo che ha dedicato la sua vita alla giustizia: Rocco Chinnici. Accanto a lui, immaginiamo i vedere anche i volti di chi ha condiviso il suo destino, eroi silenziosi come il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere Stefano Li Sacchi.
È il 29 luglio 1983. A Palermo, svuotata dai suoi abitanti partiti per le vacanze estive, la giornata sembra iniziare come tante altre. Alle otto del mattino, in via Giuseppe Pipitone Federico, il portiere Stefano Li Sacchi ha già aperto la portineria del palazzo dove vive Rocco Chinnici. Al piano terra, il panificio solleva le saracinesche. L’aria è densa di normalità, ma qualcosa nell’atmosfera trattiene il respiro.
Davanti al civico 59 arriva la blindata del magistrato, un’Alfetta beige guidata dal suo autista Giovanni Paparcuri, e poco dietro l’Alfasud della scorta, con a bordo il maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta.
L’orologio segna le 8:05. La calma della strada si spezza in un istante. Una Fiat 126 verde, parcheggiata davanti al portone, esplode in un boato che squarcia la città. 75 chili di tritolo trasformano l’asfalto in un cratere, i palazzi tremano, vetri infranti volano come schegge. Rocco Chinnici, il padre del pool antimafia, cade sul campo, assieme ai suoi uomini e al portiere. Decine di persone vengono ferite, tra cui due bambini.
L’unico sopravvissuto è Giovanni Paparcuri. Il suo corpo miracolosamente resiste, ma la sua anima rimarrà segnata per sempre.
Rocco Chinnici, nato a Misilmeri nel 1925, era un magistrato di tempra unica. Dopo essere entrato in magistratura nel 1952 come uditore giudiziario a Trapani, proseguì la carriera a Partanna, dove fu pretore per dodici anni. Nel 1966 si trasferì a Palermo presso l’Ufficio Istruzione del Tribunale, e nel 1979 fu promosso Consigliere Istruttore.
A Palermo, Rocco Chinnici vide il volto più feroce della mafia e decise di non voltarsi dall’altra parte. Intuendo che l’unione fa la forza, fu l’ideatore del pool antimafia, un gruppo di magistrati che collaborava strettamente per combattere la criminalità organizzata. Tra i membri del pool chiamò giovani magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Grazie a questa visione collettiva, nacque il primo maxiprocesso alla mafia, che mise sul banco degli imputati i vertici di Cosa Nostra.
Ma la determinazione di Chinnici gli costò la vita. Negli ultimi giorni, sentiva il pericolo avvicinarsi. Aveva riunito i suoi uomini per avvertirli: “State attenti alle auto e ai furgoni di grossa cilindrata. Sono preoccupato per voi. Se volete abbandonare la mia protezione, il problema non si pone.” Nessuno di loro lo lasciò.
Dietro quell’attentato c’erano le mani dei boss Antonino Madonia e Giovan Battista Ferrante. Chinnici era diventato troppo pericoloso per Cosa Nostra. Quel giorno, però, non riuscirono a spegnere il suo messaggio.
Sul muro della legalità, il volto di Rocco Chinnici e dei suoi uomini ci ricorda che la lotta alla mafia è una battaglia per la dignità di un popolo. È una memoria che si rinnova nel racconto, nelle immagini, nei luoghi simbolo della giustizia.
Nel 2018, la figura di Rocco Chinnici ha trovato nuova luce nel film Rocco Chinnici – È così lieve il tuo bacio sulla fronte, tratto dal libro della figlia Caterina Chinnici. Attraverso i suoi occhi, emerge l’immagine di un padre affettuoso, di un uomo coraggioso, di un magistrato visionario.
Raccontare questa storia davanti al muro della legalità di Palermo significa fare memoria di un passato doloroso per costruire un futuro di speranza. Una speranza che, ancora oggi, si nutre del sacrificio di chi non ha mai smesso di credere nella giustizia.