A Palermo, nella rinomata Piazza San Francesco d’Assisi, su una parete laterale si può ancora leggere su un muro scrostato parte di un’antica insegna di un confettificio: “FABRICA CONFETTI DOLCI E AFFINI”. Questo dettaglio ci riporta a una pagina oscura della storia palermitana.
Negli anni ’50, a Palermo si racconta di una storia intrigante riguardante la “Fabbrica di confetti e dolciumi” in Piazzetta S. Francesco d’Assisi. Il proprietario, Salvatore Lucania di Lercara, nipote del noto Lucky Luciano, aveva aperto l’attività insieme a un cugino omonimo. La fabbrica sembrava un’attività legittima, con regolare licenza rilasciata dalla questura di Palermo, ma dietro il facciato commercio di dolciumi si celava una realtà ben più complessa.
Luciano, figura rispettata e influente, era anche coinvolto nel traffico internazionale di droga, gestendo le rotte dal sud Italia verso gli Stati Uniti, il Canada e il Messico. Il suo braccio destro, Pascal Molinelli, noto come “mosier Richard”, coordinava le attività transatlantiche con una vasta rete di trafficanti internazionali.
La fabbrica di confetti serviva come perfetta copertura per queste operazioni clandestine. La produzione legale di dolciumi rappresentava solo una parte della facciata; dietro le quinte, la droga veniva raffinata e preparata per essere distribuita globalmente, grazie anche ai collegamenti con importanti figure come “don Calò” Vizzini, capo della mafia siciliana.
La storia della fabbrica prese una svolta drammatica nel 1954, quando un giornale romano pubblicò una foto della facciata, suggerendo legami tra i confetti e il traffico di droga. Questa esposizione mediatica portò alla repentina chiusura dell’attività: macchinari smontati di notte, operai specializzati clandestinamente trasferiti via mare verso l’America su una nave turca.
Questa breve storia della “Fabbrica di confetti e dolciumi” non solo rivela la complessità e la segretezza delle attività di Lucky Luciano, ma anche il sottile intreccio tra legalità e criminalità che caratterizzava quel periodo, lasciando un segno indelebile nella storia di Palermo e oltre.
Foto: ritaglio di giornale anni ’50