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Il Nuovo Palazzo di Giustizia e la memoria delle strade - Palermo e Palermitani
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Il Nuovo Palazzo di Giustizia e la memoria delle strade

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A Palermo le strade hanno memoria. Anche quando vengono abbattute. È così che, tra i corridoi del Nuovo Palazzo di Giustizia, le antiche vie del quartiere del Capo tornano a farsi sentire, come un’eco gentile del passato.

Il Nuovo Palazzo di Giustizia nasce da un concorso di progettazione vinto nel 1981 dall’architetto Sebastiano Monaco e dal suo gruppo: uno di quei rari casi in cui un’idea diventa architettura costruita, e poi luogo vissuto. Dal 2002 questo complesso è in funzione, ma soprattutto è diventato una parte della città, non un corpo estraneo.

Alle spalle del vecchio Palazzo di Giustizia, ai margini del Capo, l’area scelta per il nuovo intervento era una ferita aperta: macerie, vuoti urbani, strade scomparse. Eppure il progetto non ha voluto imporre un segno estraneo, ma ascoltare ciò che quel luogo era stato. Così gli edifici si dispongono come case affacciate su vicoli, si aprono in piccole piazze, si lasciano attraversare. La cittadella giudiziaria prende la forma di un quartiere, e il quartiere torna a essere città.

Camminando all’interno del complesso, ci si accorge che non si percorrono semplici corridoi. Si attraversano strade. I nomi antichi, quelli dei vicoli abbattuti, accompagnano ancora il passo: Vicolo del Lume, Vicolo dell’Altare, Vicolo Quattro Coronati. Sono nomi che parlano di devozione, di luce, di vita quotidiana; nomi che un tempo indicavano luoghi abitati dai Capioti e che oggi continuano a orientare chi attraversa il palazzo. La toponomastica diventa così un filo invisibile che tiene insieme ciò che è stato e ciò che è.

In questo intreccio di architettura e memoria, il Nuovo Palazzo di Giustizia ricuce un frammento di città perduta e lo restituisce al presente. Non solo un luogo di lavoro e di istituzioni, ma uno spazio urbano da attraversare, da riconoscere, da ricordare.

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Immagine di Salvino Arena

Salvino Arena

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