Il pane degli angeli
C’è un silenzio particolare tra le mura del vecchio convento della Gancia, nel cuore di Palermo. Oggi vi ha sede l’Archivio di Stato, ma se si tende l’orecchio — tra il fruscio delle carte e l’odore della pietra antica — sembra quasi di percepire un profumo diverso, caldo, familiare: quello del pane.
Un tempo, in un’ala del monastero, accanto alle celle dei frati, ardeva un forno. Era il cuore pulsante del convento, una sorgente di vita e di sostentamento. Da lì uscivano forme dorate, fragranti, destinate a sfamare non solo i religiosi, ma anche la gente del quartiere. I frati lo chiamavano semplicemente il panificio della Gancia, ma in città tutti lo conoscevano come il forno degli angeli.
Si raccontava che il pane della Gancia non avesse eguali. Le maestranze erano poche — un governadore, cinque lavoranti, un semolaro — eppure il pane non mancava mai, anzi, sembrava moltiplicarsi. C’era chi giurava di aver visto figure leggere muoversi tra le ombre della notte, ad aiutare i panificatori quando la fatica si faceva troppo grande. Così nacque la leggenda: quel pane, dicevano, lo impastavano gli angeli.
E non era solo leggenda. I documenti, oggi custoditi proprio nell’Archivio di Stato — tra le stesse mura che un tempo ospitavano il convento — raccontano una storia di operosità e di carità.
Nell’autunno del 1797, in appena tre mesi, il forno incassò più di mille duecento onze, una somma considerevole per l’epoca. I registri parlano di pane, ma anche di crusca e di semola: nulla andava perduto, ogni granello aveva il suo valore. Il pagamento avveniva in moneta e in pane, perché anche il lavoro, in quel luogo, aveva il sapore della condivisione.
Ogni giorno, i frati pagavano un piccolo tributo per il posto di vendita, lo spazio fuori dal convento dove il pane veniva offerto ai cittadini. Ma non tutti lo pagavano, quel pane: all’ingresso della Gancia, una fila silenziosa di questuanti attendeva la propria porzione. Due tarì di “pane regalato” erano registrati tra le spese quotidiane, segno che la carità non era un gesto straordinario, ma parte naturale della vita del convento.
Così, tra il rumore delle pale nel forno e il profumo del lievito che riempiva i chiostri, i frati della Gancia costruivano un piccolo miracolo quotidiano. Oggi, chi attraversa quelle stesse stanze per consultare un antico registro, può forse percepire ancora un’eco lontana: il calore del fuoco, un canto sommesso, e il ricordo di un pane che, si dice, era fatto dagli angeli.







