Tra i simboli più caratteristici della Sicilia, un posto di privilegio è sicuramente occupato dal fico d’India. Nella tavola siciliana, questi frutti sono graditi e apprezzatissimi, specialmente nelle varianti conosciute come Bastarduna o Scuzzulati. Sempri di ficu d’innia si parra!
I fichi d’India, noti scientificamente come Opuntia Ficus Indica, sono frutti di una pianta appartenente alla famiglia delle Cactacee. Il fusto è formato dai cladodi, comunemente chiamati “pale”, coperti di spine sottili e pungenti, spesso bianche. I fiori sbocciano in un brillante giallo-arancio, mentre i frutti maturi si presentano in una varietà di colori che vanno dal bianco al giallo, fino al rosso acceso e al magenta, a seconda della varietà.
Oggi è coltivato in tutto il bacino del Mediterraneo — in particolare in Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna — ma anche in regioni temperate dell’America Centrale, in Africa, Asia e Oceania. Cresce in luoghi inospitali, su terreni secchi, pietrosi, e persino tra le rocce laviche. È una pianta che non teme il sole cocente né la siccità, ma soffre le basse temperature.
Per quanto oggi il fico d’India sia simbolo indiscusso della Sicilia, le sue origini vanno cercate lontano: fu Hernando Cortés a scoprirlo in Messico, dove gli antichi Aztechi lo chiamavano Nopalli. Secondo la leggenda, essi decisero di fondare la loro capitale laddove avessero visto un’aquila appollaiata su un cactus: ciò avvenne su un isolotto in mezzo al lago Texcoco, dove nacque Tenochtitlán — oggi Città del Messico. Il fico d’India compare ancora oggi nello stemma della Repubblica Messicana, a testimonianza di questo legame antico e profondo.
È probabile che siano stati i Saraceni, nel corso delle loro incursioni nell’isola attorno all’anno 827, a introdurre il fico d’India in Sicilia. Altri storici attribuiscono il merito agli Arabi. In ogni caso, il fico d’India ha trovato nell’isola la sua patria d’elezione: pianta rustica e resistente, è oggi parte integrante del paesaggio siciliano, tanto da diventare simbolo della sua resilienza, bellezza e abbondanza.
Ma fra i nostri meriti c’è un tocco tutto siciliano: l’invenzione del fico d’India scuzzulato, tecnicamente detto bastardone. La leggenda vuole che nacque da una lite fra confinanti palermitani. Un contadino, per danneggiare il vicino, recise i fiori delle sue piante di fico d’India, convinto che così avrebbe impedito la formazione dei frutti. Invece, accadde qualcosa di inaspettato: la fruttificazione fu solo ritardata e, con l’arrivo delle prime piogge, la pianta produsse frutti più grossi, succosi e dolcissimi. Nacque così — per rabbia e dispetto — una delle prelibatezze più amate: il fico d’India scuzzulato!
La scozzolatura, come si chiama oggi questa pratica, è divenuta una tecnica agricola consolidata. Consiste nel rimuovere i primi fiori fra maggio e giugno, inducendo la pianta a produrre una seconda fioritura che dà frutti maturi tra ottobre e dicembre: più grandi, con meno semi e dalla polpa più compatta. I contadini la eseguono ancora con cura e precisione, sapendo bene che il risultato premierà la pazienza.
Insomma, il fico d’India non è solo un frutto: è una metafora vivente della Sicilia stessa. Duro fuori, dolcissimo dentro. Pianta che si fa spazio tra le spine del destino, che cresce tra le pietre e fiorisce sotto il sole più implacabile. E, come spesso accade da queste parti, anche ciò che nasce per vendetta può diventare un dono.