I Normanni che arrivarono in Sicilia originariamente avevano come simbolo due leoni.
Furono gli Altavilla che adottarono il nuovo stemma, abbandonando quello con i due leoni del Ducato di Normandia. I monarchi si sarebbero dotati di uno stemma «con due bande, ò come dice Sancetta: con due sbarre, scaccheggiate d’argento, e rosso in campo azzurro: si come si vede in tre antichissime targhe di legno appese nel Domo di Palermo sopra i Regij tumili di porfido del Rè Ruggiero, e dell’Imperatrice Costanza sua figlia.
Metaforicamente i Leoni Normanni sono citati da Tomasi di Lampedusa nel romanzo “IL GATTOPARDO” quando fa parlare il principe di Salina, che, rivolgendosi al piemontese Chevalley, dice amaramente: “Noi fummo i leoni…poi vennero gli sciacalli e le iene”.
Chi di voi non ha mai visto l’immagine di un leone che sembra abbeverarsi lungo un fiume, magari su un’etichetta di vino Marsala? Quello era il simbolo di una delle più ricche e amate dai palermitani, stiamo parlando del leone Bibens e della famiglia Florio, la grande famiglia di aromatari, commercianti, armatori e mecenati che per più di un secolo tra il mille e ottocento e il mille novecento dominarono la scena imprenditoriale palermitana e italiana.
Come abbiamo cercato di spiegare in questo post è evidente che tutte le volte che Palermo è stata “grande” c’è stata sempre la figura di un leone.
Un leone è stato l’animale più amato dei palermitani si chiamava Ciccio ed era l’attrazione della Villa Giulia.
Foto. Mosaico Palazzo dei Normanni