Siamo in vacanza a Palermo mentre passeggiamo in via Maqueda notiamo un palazzo che ci incuriosisce, caratterizzato da un prospetto tardobarocco con portali incastonati tra due colonne in marmo grigio di Billiemi. Questa pietra palermitana è utilizzata anche in altri edifici e strade di Palermo. Il piano nobile del palazzo è decorato con balconi dalle inferriate a petto d’oca, finestre con timpani alternativamente triangolari e curvilinei, nonché riccioli e ghirlande ornamentali.
Chiediamo a Ruggero il nostro amico palermitano che ci sta accompagnando in questa passeggiata di raccontarci qualcosa riguardo a questo palazzo. Egli ci spiega che si tratta del Palazzo Comitini, originariamente di proprietà della famiglia Gravina, principi di Comitini. Fu costruito tra il 1766 e il 1781 su progetto dell’architetto Nicolò Palma. Questo edificio fu precedentemente la sede della Provincia e ora funge da sede istituzionale della Città Metropolitana di Palermo.
Con l’assistenza del personale, abbiamo l’opportunità di visitare gratuitamente il palazzo e ammirare la “Sala delle armi”, la “Sala Verde”, la “Sala Rossa” e la “Sala Gialla”, che separa gli spazi privati da quelli di rappresentanza. La “Sala Martorana” è la stanza che cattura di più la nostra attenzione, con un sontuoso stile tardo barocco, soffitto affrescato raffigurante il Trionfo del vero Amore e quattro virtù agli angoli: Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza. Questa sala è adornata con specchi, pavimenti in maiolica e due splendidi lampadari in vetro di Murano.
Mentre ci troviamo davanti al palazzo, un anziano ci vuole raccontare una triste storia descritta su una lapide nel cortile. Ruggero, fingendo di non conoscere la storia, invita gentilmente l’anziano a raccontarcela.
Addumannavanu pani, pasta e dignità
stamu parranu di una stragi ormai
scurdata.
Era di ioviri, sbrizziava
u cielu era scurusu, parieva siddiatu
e a manu a manu s’avanzava
sempri chiù assai a gienti addivintava
Annurbati pu pitittu
i facieva iri sempri rittu.
Ieranu iunti d’avanzi o ntratuni du palazzu
runni fa bella mostra U Geniu nta l’arazzu.
Quannu, cu stava bellu assittatu
detti l’ordini disgraziatu.
Supra a iddi sparati.
I surdati, forsi puru scantati,
chi muschietti ci spararu e
i bummi a manu ci tiraru
a di poviri dispirati.
Picca secunni abbastaru pi caricari e
e dari siecutu all’ordini di ammazzari
senza mancu pinsari.
Vintiquattru cuorpi ntierra arristaru,
ieranu uomini, ruonni e picciririddi
chiddi chi ncielu vularu.
Addumannavanu pani, pasta e dignità
chista fu una stragi chi avi a esseri
ricurdata … e non ammucciata.
Ruggero simultaneamente ci ha tradotto la triste storia che il commosso vecchietto ci raccontato.
Chiedevano pane, pasta e dignità
stiamo parlando di una strage ormai
dimenticata.
Era di giovedì e piovigginava
Il cielo era buio, sembrava triste
e a mano a mano si avanzava
sempre più numerosa la gente diventava.
Accecati dalla fame
li faceva andare sempre dritto
erano giunti davanti l’entrata del palazzo
dove fa bella mostra l’arazzo con “il genio”
quando, chi stava comodamente seduto
diede l’ordine disgraziato.
Sparategli addosso
i soldati, forse pure spaventati
con i moschetti spararono e
bombe a mano lanciarono
contro quei poveri disperati
Pochi secondi bastarono per caricare e
dare seguito all’ordine di “ammazzare”
senza neanche riflettere.
Ventiquattro corpi a terra rimasero,
erano uomini, donne e bambini
quelli che in cielo volarono
Chiedevano pane, pasta e dignità.
Questa è la strage che deve essere
ricordata e ….. non nascosta.
tra gli opuscoli che abbiamo preso all’interno del palazzo Comitini c’è ne uno che racconta questo triste capitolo.
In una mattina del 19 ottobre del 1944 a Palermo, una folla disperata di uomini, donne e bambini improvvisò un corteo per chiedere al governo pane, pasta e un lavoro che potesse ridare loro dignità. Questi “disperati” avevano appena raggiunto Palazzo Comitini, situato in via Maqueda, allora sede della Prefettura e dell’Alto Commissariato per la Sicilia. La Sicilia, da qualche mese, era stata restituita dall’amministrazione anglo-americana al governo italiano del Regno del Sud.
Tuttavia, quando la folla di manifestanti arrivò a Palazzo Comitini il 19 ottobre 1944, invece di cercare di calmare gli animi, il viceprefetto, all’epoca la più alta autorità governativa in città, in preda alla paura e alla preoccupazione, chiamò il comando militare della Sicilia e richiese l’invio di un contingente adeguato di soldati.
Il generale Giuseppe Castellano, comandante della divisione Sabauda, alla quale era subordinato il 139° Reggimento Fanteria, ordinò di aprire il fuoco a altezza d’uomo.
In meno di trenta secondi, si scatenò l’inferno: i soldati risposero agli insulti con bombe a mano e moschetti, mentre i manifestanti disperati cercarono invano riparo. Il bilancio di questa brutale e insensata repressione fu drammatico: 24 morti e 158 feriti. La cosiddetta “Strage del Pane” rappresentò uno degli eccidi più efferati nella storia della Sicilia ed è rimasta per troppo tempo avvolta da un oscuro alone di insabbiamenti, depistaggi e false verità ufficiali.
Brano tratto da “Passeggiata con i racconti di Ruggero”