Passeggiando con il nostro amico palermitano, arriviamo a piazza San Francesco di Paola dove in un ampio giardino con dei ficus maestosi Ruggero ci descrive due edifici che si affacciano nella piazza alla nostra sinistra c’è una cancellata quello è l’accesso alla Villa Filippina un punto di riferimento per numerose attività di aggregazione e culturali in città.
Ma che cos’era questo spazio? E a cosa serviva?
Villa Filippina è uno dei primi giardini pubblici di Palermo, in quanto ampio spazio verde accessibile, curato nei dettagli dalla pianta della fabbrica alle decorazioni: un grande quadrato, recintato da portici sui tre lati (nord, ovest e sud), lunghi circa 100 metri. Il quarto lato è costituito dall’alto muro di confine con il portale d’ingresso, su cui è presente l’effige in stucco della Madonna della Vallicella, emblema dell’Oratorio Romano, e il busto di Don Serio, scolpito nel 1767 da Ignazio Marabitti.
Il perimetro dell’ampio giardino è delimitato da un corridoio porticato dove sono presenti le opere del pittore palermitano Vito D’Anna, esponente dello scenario rococò siciliano.
Villa Filippina costruita nel 1755 è caratterizzata da un vasto spazio quadrangolare, recintato per tre lati da portici lunghi 140 metri, su cui corre una terrazza praticabile.
Gli affreschi raccontano episodi con Storie della vita di Gesù Cristo.
Questo ciclo di affreschi, secondo i principi dell’Oratorio, ebbe una funzione educativa e pedagogica, affinchè, attraverso l’illustrazione degli episodi più importanti narrati nei Vangeli, i giovani potessero interiorizzare e portare nella vita quotidiana il modello cristiano.
Nato come luogo ricreativo e di svago per i congregati e giovani dell’oratorio dedicato a San Filippo Neri. I religiosi gestirono per qualche decade una scuola materna ed elementare, svolsero il catechismo per bambini e adulti, oltre a diverse attività ludiche e ricreative come il teatro, il campo di bocce e di calcio, giochi ed intrattenimenti liberi. Nel ‘900 la consulta dell’Oratorio Secolare che coadiuvava i padri, apriva quotidianamente il parco al pubblico. Nei locali venivano ospitati anche esterni, ad esempio il “guardaroba dei poveri”, biblioteca (da Don Gioacchino Bibbia), una tipografia, “giovani esploratori”, Azione Cattolica, diversi gruppi dell’oratorio.
Negli anni 60/70 la villa era uno splendore per noi bambini della zona perchè qui riuscivamo a praticare sport non in campi improvvisati nelle strade ma in un luogo al sicuro e salutare praticavamo calcio, pallacanestro e pallavolo. Il centro era dotato anche di una sala cinema interna e una arena all’aperto.
Nella villetta tra i ficus notiamo un edificio che si estende sotto terra coperto con una lastra, metallica chiediamo ancora al nostro amico cosa è occultato sotto.
In passato, sino agli anni settanta , in molte piazze della città, c’erano i cosiddetti vespasiani. Era questo il termine con cui in Italia venivano designati gli orinatoi pubblici in forma di garitta o di edicola, un servizio riservato solo agli uomini e pertanto poco attento alle eventuali necessità del gentil sesso.
Un termine comune con cui venivano chiamati i gabinetti pubblici è “vespasiano” dal nome dell’imperatore che divenne famoso anche per aver tassato , si dice, l’uso dell’urina da parte dei conciatori, che abbisognavano di ammoniaca. Si narra, ma non è certo, che, a chi avesse avanzato una critica per aver tassato tale liquido maleodorante, l’imperatore avesse osservato che “Pecunia non olet” vale a dire “Il denaro che si ricava non puzza”.
I vespasiani dell’ “era moderna” a Palermo videro la luce agli inizi del diciannovesimo secolo.
Dopo un periodo “aureo”, questi pubblici orinatoi sparirono nei sottosuoli metropolitani, sostituiti da bagni pubblici sempre più rari e mal gestiti.
Tuttavia qualche pezzo di “archeologia igienica” resta ancora pienamente visibile in alcune delle piazze palermitane, citiamo quelli di piazza Alberico Gentili e il vespasiano di Piazza Castelnuovo.
Davanti alla chiesa dedicata a San Francesco di Paola vediamo molta gente in abiti da cerimonia perchè a breve sarà celebrato all’interno un matrimonio, è un bell’effetto perchè lungo la navato ci sono bellissime composizioni di fiori.
La chiesa era stata progettata in stile neogotico man mano che la costruzione proseguiva le mode si evolvevano e così anche la chiesa si prestò ai gusti del periodo inserendo elementi di gusto manierista e successivamente allo sfarzoso barocco oggi presente negli interni riccamente decorati da affreschi e stucchi.
Del progetto originario in stile gotico-catalano oggi restano solo alcuni dettagli strutturali come le volte a crociera costolonate con chiave pendula della navata.
La Chiesa di San Francesco di Paola si trova dove un tempo sorgeva l’antica Chiesa di Santa Oliva, luogo di sepoltura della Santa.
Ruggero ci mostra una cappella dedicata a Santa Oliva, una delle antiche patrone della città, è qui che si pensa fossero stati sepolti i suoi resti, che però non vennero mai ritrovati.
Nel giardino tra i Ficus ci sono quattordici panchine colorate di rosso, ognuna dedicata a una donna uccisa dalla violenza di un uomo.
Il decoro del giardino è anche merito dalla “Pemiata Enoteca Butticè”, che si trova proprio accanto alla piazza e che ha da sempre una vocazione etica e sociale, tanto che ha “adottato” il giardino pubblico dove si trovano le panchine, cercando di salvarlo dal degrado a cui da anni è relegato
Brano tratto da “Passeggiata con i racconti di Ruggero”