Cortile Setti Pani: nella via Zagara nei pressi delle Mura Di San Vito al Capo.
In una delle targhe toponomastiche a mio parere più belle, per stile e fattura, tra quelle incontrate per le vie di Palermo, spiccano la dicitura “Setti Pani”, con la “i” finale dell’aggettivo numerale, e la consonante “n”, realizzata in maniera speculare rispetto alla norma grafica. Quanto al nome, sia lo Stradario attuale del Comune di Palermo che quello storico di Carmelo Piola recano “Sette Pani”, che fa pensare immediatamente a sette forme del cibo quotidiano più comune. Delle due, l’una: o si tratta di un errore di chi ha realizzato la targa e allora sarebbe corretto “Sette”, oppure è corretta la versione “Setti” che potrebbe far pensare a un cognome (esiste infatti il cognome Settipani). Per M. Di Liberto (“Palermo. Dizionario storico toponomastico”, 2012), l’origine del toponimo deriva da un “cognome di antica famiglia”.
I cortile Setti Pani fa parte della prima circoscrizione , il C.a.p. è 90134
(LuiVis. Carpeviam2020)
Nel Cortile Setti Pani abitava abitava una persona molto amata dalla gente che lo conosceva- Questa è la storia di “Totò u scimunitu” che divenne un personaggio.
Il giullare di corte
Storia di un “Ultimo”, Totò u scimunitu, una persona che divenne “personaggio”.
Tutti si chiedevano li, nel cortile Setti pani, dov’era Totò, dove passava quelle giornate e quelle notti. Come mai sua madre non lo cercava. Tutti se lo chiedevano ma nessuno osava chiederlo all’unica persona che sapeva. Alcune comari addirittura insinuavano che Totò avesse una donna.
Nei cortili di Palermo degli anni ’50 tutti sapevano tutto di tutti ma mai per bocca dell’interessato ma bensì per sentito dire durante “ lo sparlaciunio” !! Lo sparlaciunio non era altro che il parlare e lo sparlare degli assenti di turno. I racconti finivano sempre con “ntisi dire” o con “c’è sta vuci chi firria”. *
Nel cortile Sette Pani tutti gli inquilini passavano la giornata sin dalle prime luci dell’alba davanti al proprio davanzale e a turno si scambiavano le visite tra loro.
Totò era il figlio della signora Prurè ed era un ragazzo fine, pulito e per bene, l’unico neo a suo carico era una malattia che sin dalla nascita lo rendeva scemo. Abitava con la madre in un monovano dove gli ambienti stanza da pranzo e stanza da letto erano delimitati da un tendone divisorio. La sua casa si riconosceva perché era l’unica ad avere accanto all’uscio una vigna che durante la sua fioritura faceva da pergolato dove era un piacere sostarvi nei pomeriggi afosi perché vi si trovava un bel refrigerio.
Totò tutte le mattine usciva da casa e si recava nel popolare mercato del Capo, spesso duellava con un altro che come lui era nato con delle infermità mentali, era Vicè.
I commercianti li pagavano per “abbanniari” le loro mercanzie e i due facevano a gara a chi aveva la meglio verso gli acquirenti.
Totò quando non era al Capo lo si poteva trovare alla piazza Politeama ai piedi della statua di Ruggero Settimo, ed intratteneva tanta gente con i suoi comizi dal pulpito costituito da una cassetta di legno, solitamente usata per contenere la frutta, riusciva ad attirare tanta gente la quale si divertiva con i suoi spettacolini ma faceva anche riflettere per le cose veritiere che diceva sul malgoverno.
Totò era una macchietta diverse volte anche Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, comici da strada lo inserivano nei loro show improvvisati dietro il teatro Biondo nella piazza Venezia.
La fama di Totò varcò i confini territoriali sino ad arrivare nella valle dello Iato dove regnava “il re di Montelepre” alias Salvatore Giuliano.
Giuliano si era affezionato tanto a Totò al punto di non poter fare a meno della sua compagnia durante la latitanza nei monti siculi, almeno due volte al mese mandava a Palermo un uomo fidato il quale dopo cenni di intesa con Totò lo bendava e lo conduceva nei rifugi del bandito e li Totò dava vita ai suoi spettacoli (nel frattempo qualcuno aveva rassicurato la signora Prurè che suo figlio era al sicuro in mani amiche), dopo un paio di giorni Totò nuovamente bendato veniva riportato a Palermo non prima di avergli riempito le tasche di lire.
Totò da vero “uomo di panza” non diede mai voce di dove e come passava le sue giornate durante l’assenza palermitana, ignaro di sapere che c’era già una persona che sapeva delle sue abitudini.
Se Giuliano era il re di Montelepre, Totò era il giullare di corte.
*ho sentito dire … c’è questa voce che fa il giro.
racconto breve di Salvatore Arena